Milo Cleis scultore

Lucia Morello, giornalista

La Rivista del Mendrisiotto, intervista,

maggio/giugno 2005, pag. 7-9.

Cominciamo dalla famiglia, dal clima in famiglia… Suo padre era già artista e sua mamma maestra, un’insegnante progressista. Come ha vissuto il rapporto con i genitori?
I miei genitori erano due persone di grande serenità, quindi la mia infanzia è stata molto serena. Da bambino ero abbastanza timido, qui a Ligornetto vivevamo un po’ fuori dal paese, un po’ isolati e quando ho cominciato la scuola ho avuto qualche problema ad inserirmi nel gruppo. Con mia madre che era “la maestra” per antonomasia in casa si parlava solo italiano, così mi sono trovato a scuola a dover imparare il dialetto per potermi integrare, per poter partecipare ai giochi con i compagni. Poi è andato tutto bene… Un’infanzia serena, dicevo, della quale mi rendervo particolarmente conto perché invece mia madre non aveva lo stesso rapporto con sua madre (Ida Pessina). Mia nonna, era una persona molto intelligente, incattivita e inacidita dal fatto di non aver potuto studiare… come non aveva studiato mio nonno (Aristide Vela), che era invece una persona gentilissima. I miei nonni materni, che vivevano qui a Ligornetto, erano cugini fra di loro e tutti e due pronipoti di Vincenzo Vela, lo scultore. Mio nonno era cresciuto a Ligornetto, perchè gli erano morti i genitori quando era ragazzino, e così aveva imparato scultura con Vincenzo Vela … ci sono in giro ancora un paio di busti fatti da lui. Comunque questa serenità della mia infanzia, più ci penso e più mi pare bella!

E suo padre, è stato un grande maestro per lei?
Sì, indubbiamente. Mi incoraggiava, ma mi sentivo anche sempre seguito dal suo occhio critico, che mi intimidiva.

Suo padre, come artista, era già conosciuto?
Parecchio. Soprattutto nella Svizzera tedesca, ma anche in Ticino.

E la mamma?
Mia madre era maestra nel vero senso della parola, autorevole e anche un po’ autoritaria (però in senso buono). Mio padre era invece più disponibile all’ascolto.

Sua madre, insegnava con il metodo montessoriano, che non tutti a quell’epoca apprezzavano e condividevano…
Sì, certo… Era una donna molto aperta, era per la “scuola viva” la “scuola serena” (come Maria Boschetti Alberti). Insegnava in un modo che sarebbe attuale ancora oggi, però era anche severa, capace di tenere la disciplina in classi molto numerose… Insegnava a Stabio, alle scuole elementari. In generale era molto amata. Mia madre a scuola eseguiva con i suoi allievi gli ‘arazzi’, che sono poi diventati famosi, esposti in diversi paesi europei e ora conservati al Museo della civiltà contadina di Stabio.

Sua madre come docente faceva già un discorso didattico attraverso l’immagine…
Questo sì, certo. Tutte le materie d’insegnamento, dall’italiano all’aritmetica, alla geografia, al centro d’interesse lei riusciva a far partecipare allieve ed allievi attraverso la creatività, li faceva lavorare, esprimersi.

Comunque anche lei ha lavorato tanto…
Sì, molto. Mi fa piacere lavorare, creare con la materia, la pietra, il legno, il bronzo… anche se mi fa soffrire perché non sempre riesco a ottenere quello che vorrei… Devo dire che lavorare la pietra è stata la cosa che ho imparato per prima, l’ho imparata con i vecchi maestri scalpellini.

Oltretutto esiste anche una certa “aria” di famiglia rispetto alla scultura…
Può essere, ma non tiriamo fuori adesso le eredità artistiche. Ho una grande stima per l’opera di Vincenzo Vela. I miei nonni erano entrambi suoi pronipoti… Ma di lì a far “speculazioni” ereditarie… ne corre…

Lei ha detto di amare soprattutto la pietra. Assemblaggi vari ne ha mai fatti…?
Sì, ma sono sempre stato molto legato ai materiali più classici della scultura: pietra, legno, bronzo.

Ha rapporti di collaborazione con i colleghi?
Ho piuttosto degli amici-colleghi, come Pierino Selmoni, Massimo Cavalli, Samuele Gabai, Piergiorgio Piffaretti, Aldo Ferrario, Renzo Ferrari, Tita Carloni, Bruno Soldini… e poi Antonio Rossi (il poeta), Alberto Nessi (lo scrittore), Danilo Bianchi (critico d’arte)… Coltivo pochi rapporti perché sono una persona riservata e solitaria. Devo aggiungere però che parecchi ex-allievi e allieve vengono spesso a trovarmi, mi chiedono ancora consigli, mi mandano i loro cataloghi, mi invitano alle loro mostre… insomma si ricordano di me e dei miei insegnamenti. La scuola a me interessava proprio per il rapporto che si costruisce con i giovani, un rapporto nel quale non solo si dà, ma anche molto si riceve.

Abbiamo parlato prima della materia… Lei non ha fatto solo sculture ‘classiche’ e nelle sue opere non c’è niente di concettuale…
In certe occasioni posso dire invece di essere stato incuriosito dal concettuale perché faceva parte di un discorso, di un rapporto tra l’opera e il sito, l’architettura, il paesaggio. A me piace la forma ‘organica’, la natura; mi piace la figura umana nel senso sensuale, erotico… la modella, la persona, con le sue caratteristiche somatiche, che mi serve per scoprire il personaggio nella figura o nel ritratto. È per questo motivo che sono tornato in parte anche ad opere figurative. Quando si parla di forma io mi riferisco sempre alle forme esistenti che adotto, tentando di riscoprirvi qualche cosa di personale… di intimo.

Nel suo catalogo dalla mostra a Casa Pessina nel 2003 ha messo bene in evidenza il fatto del viaggio come scoperta, come conoscenza. Ha guardato le ‘forme’ in giro per il mondo?
Il viaggio è sempre scoperta, arricchimento. Ci vado per quello… Mi nutro di paesaggi altri, visito chiese e musei, scopro architetture, vegetazione, immagini che conservo dentro di me… Ne ricavo impressioni, sensazioni che a volte mi invogliano perfino a dipingere…

Forse chi fa scultura non ha bisogno del colore?
Si potrebbe disquisire su questo. Io sono però molto attratto dagli espressionisti (ma non solo), mi piacciono i colori, l’armonia. Se faccio questi viaggi è per capire la cultura, per scoprire mo-numenti, per vedere mostre che mi interessano in modo particolare.
Mi piace anche ritornare in posti che ho già conosciuto. Per esempio Roma è sempre una nuova scoperta anche se ci sono vissuto.
Io mi lascio un po’ sorprendere… attraverso i sensi. Ricordo che al Museo di Olimpia, quando non c’era nessuno, sono andato a sfiorare le statue… proprio per il piacere di avere un contatto fisico. Ricordo, ad esempio, l’impressione che mi ha fatto un bronzo al Bargello a Firenze, dove si possono proprio vedere e quasi sentire, le ‘ditate’ nel modellato di Michelangelo… A Creta, su delle ceramiche ho scorto l’impronta delle dite lasciate dall’artigiano 5000 anni fa…

Che importanza ha avuto la filosofia, la letteratura, la poesia, la storia dell’arte, in una parola, la cultura, e quello che lei va scoprendo? Come l’accompagna questo pensiero nella vita di tutti i giorni?
Leggo moltissimo. ‘Guardo’, osservo… dal piccolo seme… all’infinito dell’orizzonte. Ascolto molta musica classica. Tutto si ‘deposita’ e in qualche modo si muove poi nella creatività.

Ha uno scrittore preferito?
Sì. Saramago… magnifico e visionario… Ho letto e riletto anche due o tre volte i suoi romanzi e aspetto quasi con ansia che pubblichi quello nuovo… Mi piacciono anche gli scrittori sudamericani… ma più che altro mi interessa la cultura e la storia della Grecia antica.

Lei ha una vita molto intensa?
Sì, intensa… con me stesso. Sono molto curioso… Ma per me è intenso perfino il silenzio.

Lei ha fatto molta arte liturgica…
Sì. Ho lavorato soprattutto alla ideazione di altari, tabernacoli, crocefissi e arredi liturgici. Gli altari nelle chiese del Ticino e della Svizzera sono ben diciannove. Diverse chiese nelle quali ho lavorato sono monumento storico, e quindi è stata una vera sfida inserirmi con il mio lavoro, in queste architetture così diverse fra loro e così particolari. Anche qui mi sono espresso nella pietra, e per gli arredi anche nel legno, e soprattutto nel bronzo. Mio è anche il più grande crocifisso in Ticino in epoca moderna, quello situato alla Madonna del Sasso. È un Cristo molto umano perché l’ho visto come una persona che si sacrifica, uccisa per un’idea.

Opere che dialogano con il paesaggio, sculture di grande e piccolo formato; nella sua carriera artistica ha fatto tanto…
Sì, tanto. Ma sempre ricercando e cercando di non chiudermi nella via stretta del proprio “stile”. Mi metto continuamente alla prova con soggetti e approcci diversi. Uno scavo e un confronto con me stesso continuo e che continua…

E adesso cosa sta facendo?
Ho appena finito di scolpire una tomba di famiglia in granito. Sto lavorando ad un paio di ritratti… a un grande San Francesco in legno…e, come al solito, sto ‘perdendo’ molto tempo nel mio giardino, tra i miei fiori e le mie piante… e il mio orto.

C’è qualcosa che vorrebbe aggiungere? C’è un filo conduttore nella sua vita artistica?
Un filo edonistico, il piacere di ‘fare’, di esprimermi. Il piacere di ‘frugare’ in quella materia mobile che è l’argilla, per scoprire, svelare, arrivare a quella materia forte che è la pietra, il bronzo… Un piacere che ho conosciuto fin da bambino e che è ancora lì. Innocente.